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MARCEGAGLIA:

MISURE ITALIANE INSUFFICIENTI

2009-01-22

Ingegneria Impianti Industriali

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Dalessandro Giacomo

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2009-01-22

Marcegaglia: contro la crisi

le misure sono insufficienti.

Ora serve una terapia

Giovedí 22 Gennaio 2009

Emma Marcegaglia

Epifani: la riforma dei contratti? Non ora

Sulla Cig caccia ai fondi

Emma Marcegaglia ha ancora negli occhi le immagini dell'inauguration day. "Bellissime, non le dimenticheremo". La presidente di Confindustria trova che vi sia stato qualche aggettivo di troppo. E retorica sparsa a piene mani. Di qua e di là dell'Atlantico. Ma non nasconde di aver provato l'emozione forte di assistere a un fatto storico, la dimostrazione teatrale che la politica è anche sogno e idealità e non mera difesa di questo o quell'interesse.

"Sa che cosa ho pensato? Che mi piacerebbe che anche da noi un giorno si potesse apprezzare questo tipo di orgoglio nazionale, che anche l'Italia si trasformasse, e ne abbiamo le capacità, in una terra dei progetti senza confini, magari anche per un immigrato, come lo è in fondo Obama. Allora potremmo dire che la nostra cultura, compresa quella d'impresa, ha avuto il pieno successo che merita...".

Presidente, torniamo in Italia. Preoccupata?

Molto, la recessione è più dura del previsto. La produzione industriale scende del 13%, il prodotto interno lordo del due. I dati su ordini e fatturato negativi. Noi stimiamo che ci saranno, nei prossimi mesi, almeno 600mila disoccupati in più. Io penso che si possa uscire da questa crisi, ma sa che cosa rischiamo veramente?

Posso immaginarlo, ma lo dica lei.

Di affrontare l'inverno della recessione con un vestito troppo leggero. La politica economica è in mezzo al guado, da una parte la necessità del sostegno ai consumi e alle imprese, dall'altra la preoccupazione, sacrosanta, di mantenere il rigore sui conti pubblici. Noi diamo atto al Governo di aver fatto scelte corrette, e nella giusta direzione, con la blindatura dei conti e la manovra finanziaria triennale. Ma ora il quadro è drammaticamente cambiato.

Non possiamo più consolarci dicendo che gli altri stanno peggio.

Vogliamo guardare agli altri? Bene. Rispetto ai 73 miliardi di euro messi in campo dalla Germania per stimolare l'economia, ai 41 della Spagna, ai 26 della Francia e ai 24 del Regno Unito, i nostri 5 sono pochi.

Sì, ma bisogna aggiungere, a quella somma, gli investimenti nelle opere pubbliche, gli 8 miliardi annunciati per il nuovo fondo di garanzia per gli ammortizzatori sociali.

L'operazione di utilizzo e di riorientamento del Fondo Sociale Europeo, anche per sostegno al reddito di chi perde il posto di lavoro, è interessante. Il problema è la dimensione delle risorse disponibili e la tempestività del loro utilizzo. La crisi morde adesso, la gente perde il posto ora e non può aspettare. Le Regioni facciano fino in fondo il loro dovere ma il Governo sia pronto a stanziare nuovi fondi qualora fosse necessario. Questa è una priorità assoluta.

Ma dove trovarli tutti questi fondi aggiuntivi con un deficit che viaggia verso il 3,8% e il debito che cresce? Tremonti non ha torto.

Riconosco a Tremonti molti meriti, ma bisogna cambiare passo. Subito.

E come?

Ci vuole coraggio. Osare di più e varare un piano straordinario a sostegno degli ammortizzatori sociali, delle infrastrutture e degli investimenti. Dobbiamo anche rimodulare i fondi strutturali su queste tre priorità, ma poiché abbiamo un debito pubblico eccessivo, è urgente fare quelle riforme sempre rinviate. Come la riforma delle pensioni, l'abolizione delle Province e la ripresa del progetto di liberalizzazioni, specie nei servizi locali, di cui non parla più nessuno.

E vi sono le condizioni politiche per una mossa così impegnativa?

Certo sono consapevole che ciò ha un costo politico molto alto. Ma sarei tentata di rispondere: se non ora quando? La maggioranza è forte, l'opposizione potrebbe cogliere l'occasione per uscire dall'angolo. L'economia non è meno importante della giustizia e qui ci piacerebbe vedere una forte collaborazione tra le forze politiche e non l'ennesima e dannosa occasione di scontro.

Il quadro non è del tutto negativo, però. I consumi tengono. Molti settori resistono ed esportano.

Appunto per questo un intervento d'urgenza più ampio nell'economia, con riforme di struttura profonde, non è più rinviabile. Per aiutare chi è in difficoltà e consentire a chi va bene, e sono ancora tanti, di continuare a esportare, ad assumere e creare reddito. Dobbiamo pensare a una gigantesca operazione di fiducia, un progetto sul quale far convergere tutte le forze vitali del Paese, un patto generazionale che guardi a giovani, precari e famiglie a basso reddito, assicuri più competitività alle imprese e il rilancio dello sviluppo del Mezzogiorno.

L'auto e la meccanica soffrono più degli altri. Il settore automobilistico è aiutato da tutti, persino dalla Cina. Martedì il Governo francese ha varato un piano da 6 miliardi. E noi?

Noi dobbiamo preoccuparci del fatto che gli interventi nel settore di altri governi, penso in particolare a quello francese e tedesco ma presto anche all'America di Obama, finiranno per creare gravi distorsioni alla concorrenza e un danno indiretto e serio per noi se resteremo fermi.

Dunque, va sostenuta la Fiat?

Diciamo più correttamente che va aiutata l'intera filiera a partire dalle piccole imprese dell'indotto che oggi soffrono molto. La Fiat occupa in Italia 60mila addetti, con l'indotto si arriva a un milione. Sì a incentivi che siano indirizzati all'efficienza energetica, alla mobilità ecologicamente compatibile, al rinnovamento dei prodotti.

Forse possiamo aggiornare il vecchio adagio, peraltro d'importazione americana, che diceva "ciò che fa bene alla Fiat fa bene all'Italia"?

Possiamo aggiornarlo così, se vuole: "Quello che fa bene all'intero settore automobilistico e della meccanica fa bene al Paese". Ma non c'è solo l'auto. E bisogna, a differenza di altre occasioni, avere un'attenzione maggiore per la piccola impresa di tutti i settori produttivi.

Quali altri strumenti? Riduzioni d'orario?

Orari ridotti possono essere già realizzati facendo ricorso alla cassa integrazione ordinaria o ai contratti di solidarietà. Ma vi sono anche altri strumenti. Le rigidità in questa situazione non servono, si spezzano nella disoccupazione. Dove è profonda la cultura del lavoro è più stretto il rapporto tra imprenditori e lavoratori e insieme si trovano soluzioni innovative per salvare l'occupazione e il patrimonio professionale.

Oggi è in programma un incontro fra Governo e parti sociali sul nuovo modello contrattuale. A che punto siamo?

È un incontro chiesto anche da noi per affrontare la crisi e, nello stesso tempo, rilanciare la competitività e la crescita nel nostro Paese. Parleremo anche di assetti contrattuali. Di un sistema di relazioni sindacali che sostenga il reddito dei lavoratori, aumenti la produttività, dia regole certe e affermi una cultura della condivisione superando la logica del conflitto. Una priorità per tutti. Non solo nostra. La novità importantissima è che tutte le associazioni d'impresa, compreso auspicabilmente il pubblico impiego, convergono su un documento quadro che fissa per tutti i lavoratori le stesse condizioni di base. La crisi si è aggravata e dobbiamo trovare nuove convergenze. Non possiamo più perdere tempo. Gli altri sindacati stanno mostrando realismo e senso di responsabilità.

Ultima chiamata per la Cgil?

Ultimissima.

E se si trovasse un'intesa?

Si aprirebbe una nuova stagione. Positiva. Per la prima volta, dopo il '93, vi sarebbe un accordo generale a difesa di salari e produttività. Mi auguro che Epifani non guardi ad altri obiettivi, come le elezioni europee.

Infrastrutture: come cambiare passo?

In una fase come questa le infrastrutture possono giocare un ruolo determinante per il rilancio economico. È necessario stanziare per quest'anno un volume di spesa superiore a quella programmata (che per il 2009 è esigua) per finanziare prioritariamente i grandi lavori già in corso e le opere minori, comprese le manutenzioni straordinarie oggi bloccate dal patto di stabilità interno. Bisogna utilizzare anche strumenti eccezionali per sbloccare i processi decisionali e realizzativi delle opere. È inaccettabile bloccare investimenti privati e pubblici pronti a partire per veti strumentali e privi di motivazione.

L'Expo 2015, una grande occasione, che rischiamo di sprecare?

Un'opportunità irripetibile per rinnovare anche la dotazione infrastrutturale di Milano e della Lombardia, per valorizzare le nostre eccellenze nazionali e dare una straordinaria vetrina al nostro turismo, settore strategico che resiste e bene alla crisi. Si è perso troppo tempo. Vi sono degli impegni internazionali da rispettare.

Che cosa fare per le piccole imprese, che patiscono la crisi più delle grandi?

Le piccole imprese hanno uno straordinario ruolo sociale oltre che economico. Non possiamo lasciarle sole e dobbiamo dare loro segnali di fiducia. Siamo convinti che si debbano studiare misure per il loro rafforzamento patrimoniale. Ad esempio prevedere sgravi fiscali per chi fa apporti di capitale o reinveste gli utili o per chi si aggrega.

E poi ci sono gli arretrati nei pagamenti della pubblica amministrazione con ritardi che arrivano ai due anni.

Ho trovato sinceramente inaccettabile l'ipotesi di accelerare i pagamenti a fronte di sconti sui corrispettivi. Ma è positivo, anche se va migliorato, il sistema individuato con la certificazione regionale e la possibilità di scontare i crediti con gli istituti bancari.

Il credito è più caro e più raro?

Gli ultimi dati disponibili segnalano un calo a novembre dei crediti all'industria dell'1,4 per cento. In dicembre, secondo l'indagine Bankitalia-Sole 24 Ore, il 40,6% degli imprenditori ha visto peggiorare le condizioni di accesso al credito. Certo nuove linee di credito non se ne aprono. Stiamo lavorando con le banche per superare le attuali criticità e per mettere a disposizione delle piccole imprese nuovi strumenti di supporto.

Lei aveva difeso le ragioni di Malpensa. E, ora, dopo il varo della nuova Alitalia, le proteste del Nord hanno ancora senso?

Continuo a difendere le ragioni di Malpensa. Anche se le colpe non sono tutte di Alitalia.

E lei fa parte della cordata Cai...

Ho più volte ribadito i motivi della mia adesione alla cordata. Adesso l'operazione si è conclusa. Il mio compito, quindi, si è esaurito. Perciò, esco da Cai. (f. de b.)

 

 

 

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